La cronaca politica internazionale di queste ultime settimane è particolarmente ricca di eventi e ci ha abituati a seguire con ansia, in Italia e nel resto del mondo, gli effetti destabilizzanti della pandemia. Ci ha portati a discutere in modo animato le elezioni negli Stati Uniti: quelle di quest’anno non saranno le uniche, nella loro stranezza; né quelle americane le uniche seguite con attenzione dai media internazionali. Ha riaperto la porta su preoccupanti conflitti che imperversano in altre aree del mondo.
In quest’abbondanza di informazioni potremmo esserci persi qualcosa dell’animato dibattito in corso tra le istituzioni europee (e tra queste e gli stati membri) in merito al nuovo quadro finanziario. Un dibattito che coinvolge da vicino il futuro dell’Unione europea e la ripresa post-Covid del nostro paese.
Scopriamo insieme cos’è successo.
1. La prima notizia che vi proponiamo, ampiamente ripresa dalle istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento e Consiglio) è senza dubbio positiva.
Lo scorso 10 novembre è stato raggiunto un importantissimo accordo sul nuovo bilancio comunitario a lungo termine (2021-2027) e sullo strumento per la ripresa (Recovery Instrument o Next Generation EU).
La Presidenza del Consiglio dell’Unione europea (a guida tedesca fino a fine anno) ha infatti trovato un terreno d’intesa con i negoziatori del Parlamento europeo: come ricorderete, i nodi aperti riguardavano in particolare l’aumento del budget per i programmi europei e la definizione di un calendario vincolante per l’introduzione di nuove risorse proprie a disposizione delle istituzioni comunitarie.
L’accordo è di particolare interesse per chi si occupa di europrogettazione, poiché prevede un aumento della dotazione disponibile per i programmi comunitari di ben 15 miliardi di euro. Ne risulta il seguente assetto:
Orizzonte Europa | +4 mld € – tot. 79,9 mld € |
Erasmus+ | +2,2 mld € – tot. 23,4 mld €) |
Salute | +3,4 mld € – tot. 5,07 mld € |
Diritti e valori | +0,8 mld € – tot. 1,6 mld € |
Europa creativa | +0,6 mld € – tot. 2,2 mld € |
InvestEU | +1 mld € – tot. 3,8 mld € |
Vicinato e Cooperazione | +1 mld € – tot. 71,8 mld € |
Aiuti umanitari | +0,5 mld € – tot. 10,26 mld € |
Frontiere | +1 mld € – tot. 6,5 mld € |
Frontex | +0,5 mld € – tot. 5,6 mld € |
Inoltre, l’accordo prevede:
- una maggior flessibilità nella gestione del bilancio comunitario, che verrà sottoposto a un riesame entro il 1° gennaio 2024 e verrà integrato dall’uso di fondi “di compensazione” specifici, dedicati al mercato del lavoro (0,186 mld € annui), agli aiuti d’urgenza (1,2 mld € annui), alla Brexit (5 mld € totali), alla gestione dei margini e alla flessibilità operativa (0,915 mld € annui);
- un forte impegno nella lotta ai cambiamenti climatici (cui sarà dedicato 30% del bilancio 2021-2027 e di Next Generation EU) e una serie di norme per garantire un miglior utilizzo dei fondi UE (vincolo del rispetto dello Stato di diritto nell’utilizzo dei fondi UE; miglioramento del sistema di informazione e monitoraggio dell’uso dei fondi e dei beneficiari; rafforzamento della Procura europea e dei servizi antifrode).
Infine (ma non meno importante), l’accordo definisce la “tabella di marcia” (molto voluta dal Parlamento europeo) per l’introduzione di nuove risorse proprie. Entro giugno 2021 la Commissione presenterà una proposta su:
- una “carbon tax” imposta alle frontiere esterne europee (utile a combattere il cambiamento climatico e il “dumping ambientale”);
- una “digital tax” (utile ad assicurare un’equa tassazione sull’economia digitale);
- un sistema basato sull’acquisto di quote di emissione di CO2 all’interno dell’UE.
L’intento è rendere operative queste nuove risorse da gennaio 2023. Altre ulteriori nuove risorse proprie (imposta sulle transazioni finanziarie, corporate tax europea, o altro) faranno l’oggetto di nuove proposte della Commissione entro giugno 2024.
Si tratta di una tappa importante in quanto l’esistenza di risorse proprie più ingenti, indipendenti dai contributi degli stati membri, rende più autonoma, sostenibile e prevedibile la formulazione di un bilancio comunitario annuale e pluriannuale.
Tuttavia, per chi si occupa di europrogettazione è particolarmente importante ciò che questo accordo rappresenta nell’immediato: ovvero un passo decisivo verso l’approvazione del nuovo quadro finanziario e del nuovo “ecosistema” di programmi, progetti e bandi europei, a gestione diretta e indiretta.
2. A questo proposito, vi proponiamo una seconda notizia che è, da ogni punto di vista, molto meno positiva: questo accordo faticosamente raggiunto potrebbe essere messo in crisi dal veto di alcuni paesi.
Com’è possibile? Per capire meglio, facciamo qualche passo indietro.
Come sappiamo, il raggiungimento di un accordo (quale quello raggiunto il 10 novembre dai rappresentanti della Presidenza del Consiglio e del Parlamento) deve sfociare nell’approvazione formale da parte delle due istituzioni su vari aspetti: le risorse disponibili, il Quadro Finanziario Pluriennale propriamente detto e i Regolamenti relativi ai diversi Programmi europei.
La decisione sulle risorse proprie avrà al suo interno la “rivoluzione” rappresentata del Recovery Instrument, ovvero la possibilità per la Commissione di contrarre prestiti (“Recovery Bonds”) e necessiterà di una ratifica formale da parte di tutti gli stati membri.
Ora, come spiegato a inizio ottobre, non c’è un consenso unanime tra i paesi europei in merito alle condizioni di utilizzo del Recovery Instrument e in generale dei fondi europei. Al contrario, la votazione del Consiglio in merito a tali condizioni di utilizzo era stata particolarmente travagliata: ben nove paesi si erano opposti, suscitando dubbi sulla tenuta dell’accordo, per il quale sarebbe stata necessaria l’unanimità.
Alla perplessità dei paesi cosiddetti “parsimoniosi” (ovvero più rigidi nel definire le condizioni di un “indebitamento europeo”) si è sommata la forte resistenza di Polonia e Ungheria. I due paesi sono oggetto procedure di infrazione riguardanti lo stato di diritto e i diritti umani: valori fondanti dell’Unione, il cui rispetto costituisce (secondo le nuove regole) una delle condizioni per beneficiare dei fondi europei.
I due paesi hanno opposto un veto sia al bilancio europeo per il nuovo settennio, sia al Recovery Instrument, creando una situazione di stallo in cui l’intero processo può essere bloccato per un tempo indefinito. Dunque purtroppo, nel momento di massimo bisogno, la strada verso il nuovo periodo di programmazione e verso il Recovery Instrument torna ad essere in salita.
3. Quali conclusioni si possono trarre da queste notizie contrastanti?
Sicuramente, queste notizie indicano che il cammino del nuovo budget comunitario non è per nulla scontato, ma procede (e forse procederà ancora) ad alti e bassi. Gli ostacoli non si porranno solo a livello comunitario, ma anche al momento della necessaria ratifica da parte degli stati membri.
Tuttavia, un primo aspetto positivo (soprattutto per chi si occupa di europrogettazione) è che l’architettura dei fondi comunitari, dei programmi e delle relative allocazioni finanziarie inizia a delinearsi in modo abbastanza chiaro, con il consenso congiunto da parte delle massime istituzioni dell’Unione: i dissensi riguardano, almeno per ora, una questione molto generale (per quanto molto importante) dell’architettura della nuova programmazione. Una questione che potrebbe tradursi in un limitato impatto operativo sui nostri futuri progetti: a condizione che venga trovato un accordo per uscire dall’impasse.
Un secondo aspetto positivo riguarda l’urgenza di un accordo per tutti i paesi europei: nessuno ha interesse a procrastinare la disponibilità dei fondi, in primis Polonia e Ungheria che ne sono tra le principali beneficiarie. Questo sia per quanto riguarda i programmi europei, sia per quanto riguarda il Recovery Instrument, le cui prime linee guida sono già state definite a livello italiano.
Auguriamoci dunque una soluzione rapida e teniamoci aggiornati con la Guida!