La valutazione dei costi dell’UE, della sua struttura amministrativa e i relativi benefici sono temi ricorrenti nel discorso pubblico. Facciamo chiarezza.
Costo Unione Europea, molti aspetti da considerare
La recente crisi di governo e l’accendersi del dibattito politico su molti temi, tra cui quello dei fondi europei e della potenziale “perdita di opportunità” in caso di ritardi sul PNRR, riportano alla luce una domanda molto frequente e dibattuta, dai risvolti ampi e interessanti: quanto costa l’Europa e (in parallelo) quanto costa la “non-Europa”?
Come spesso succede quando domande (apparentemente semplici) hanno a che fare con dati numerici, è necessaria una piccola introduzione di chiarimento metodologico.
La domanda può essere riformulata in almeno due modi diversi, che danno luogo a risposte diverse, entrambe significative e complementari:
- Quanto costa l’amministrazione europea e quanto è efficace rispetto ad altri sistemi amministrativi?
- Quali costi e quali benefici implica l’appartenenza all’Unione europea per un paese e per i suoi cittadini?
Proveremo a dare una risposta a entrambe le domande. Per entrambe, cercheremo di chiarire il margine di variabilità dei dati, sulla base dei parametri considerati e di valutazioni che non sono in tutti i casi puramente aritmetiche.
Costi ed efficacia dell’amministrazione europea
La prima domanda, più circoscritta, riguarda i costi della “macchina amministrativa” europea rispetto ai suoi omologhi nazionali e locali. Nell’analizzare i dati occorre tener presenti alcuni fattori che distinguono strutturalmente la “macchina amministrativa” europea dalle altre “macchine amministrative” nazionali e locali:
- L’Unione europea serve una popolazione di quasi mezzo miliardo di abitanti, un ordine di grandezza molto più ampio rispetto a qualunque altra amministrazione esistente in Europa; cui occorre aggiungere i beneficiari di paesi terzi, essendo l’Unione europea anche il principale finanziatore di progetti di cooperazione internazionale (ne abbiamo parlato qui);
- L’Unione europea ha un ambito d’azione più ridotto e circoscritto rispetto ad altre amministrazioni statali, regionali o locali. Ad esempio, non gestisce direttamente l’apparato educativo, sanitario e infrastrutturale di un territorio. Questo ha un impatto sulla struttura dei costi (la stragrande maggioranza del budget dell’UE è speso direttamente per progetti) e sulla struttura amministrativa (più snella rispetto ad altre);
- La natura multinazionale dell’Unione europea fa sì che la sua struttura amministrativa abbia costi aggiuntivi rispetto a quella dei suoi omologhi nazionali (viaggi, trasferte a Bruxelles dei funzionari, traduzioni e interpretariato in 24 lingue ufficiali, ecc.).
Fatte queste dovute premesse, proviamo a comparare il bilancio di previsione del 2022 di tre amministrazioni diverse: l’Unione europea, lo Stato italiano e il Comune di Roma (i documenti di partenza sono consultabili attraverso i rispettivi link).
Unione europea | Stato italiano | Comune di Roma | |
Budget totale (milioni di €) | 167.516 | 1.093.956 | 13.924 |
Spese amministrative (milioni di €) (*) | 11.058 | 421.169 | 2.022 |
Spese amministrative / Spese totali (%) | 7% | 38% | 15% |
Budget totale / abitanti (€ per abitante) | 375 | 18.547 | 5.048 |
Spese amm.ve / abitanti (€ per abitante) | 25 | 7.141 | 733 |
(*) N.B.: Le spese amministrative sono registrate in modo diverso nei tre documenti di riferimento. L’ammontare relativo al Comune di Roma potrebbe risultare sottostimato, quello relativo allo Stato italiano sovrastimato. I dati danno comunque un’idea indicativa degli ordini di grandezza. Nello specifico:
- L’Unione europea ha una rubrica specifica (“pubblica amministrazione europea”) che include tutte le spese e gli stipendi di natura amministrativa e gestionale, ovvero non destinati a specifici interventi;
- Lo Stato italiano non ha una rubrica apposita, dunque le spese amministrative sono calcolate sommando le rubriche “stipendi” e “trasferimenti correnti alla PA”;
- Il Comune di Roma ha una rubrica apposita (“servizi istituzionali, generali e di gestione”) che però non include le spese amministrative specificamente dedicate alle altre rubriche.
Sulla base di questi dati e di queste premesse, possiamo concludere che:
- Il bilancio dell’Unione europea è relativamente “piccolo”: è pari a circa il 15% di quello dello Stato italiano, pur coprendo una popolazione quasi 8 volte più grande. La spesa per abitante dell’Unione europea è irrisoria rispetto a quella delle altre amministrazioni;
- Il peso delle spese amministrative e di gestione l’Unione europea (stipendi, funzionamento delle istituzioni, ecc.) sul totale del bilancio è molto basso rispetto a quello delle altre istituzioni: è pari al 7%, contro una media di circa il 25%, indice di una struttura amministrativa particolarmente snella.
Gli interventi dell’Unione europea, negli stati membri e in tutto il mondo, sono gestiti da una struttura amministrativa che “costa” 11 miliardi l’anno, ovvero meno del bilancio annuale del Comune di Roma (quasi 14 miliardi).
Queste e altre considerazioni di carattere quantitativo sono anche analizzate in un’apposita pagina a cura della Commissione europea. La valutazione qualitativa dell’efficacia di una pubblica amministrazione è invece una questione più complessa, multidimensionale e non riconducibile a semplici aspetti numerici.
L’efficacia comparativa della pubblica amministrazione comunitaria sembra confermata, innanzitutto, da un maggior peso della spesa per interventi rispetto alla spesa puramente amministrativa (anche se, come già ricordato, questo dipende anche dalle caratteristiche e dal particolare ambito d’azione dell’amministrazione dell’UE rispetto ai suoi omologhi nazionali e locali).
Inoltre, un apposito studio dell’OCSE (2017) ha attestato una maggior presenza e un maggior uso, nel sistema comunitario, di strutture, modelli e procedure di “performance budgeting” (in cui l’allocazione delle risorse è condizionata dai risultati delle politiche che con quelle risorse vengono finanziate). L’OCSE ha calcolato che l’indice di applicazione del “performance budgeting” in ambito comunitario è di circa il 70%, è superiore sia alla media OCSE (55% circa) sia all’indice per l’Italia (25% circa).
Inoltre, lo stesso studio indica che nel 50% dei casi l’efficacia del quadro finanziario dei programmi finanziati dall’UE è valutabile come migliore di quella dei programmi finanziati a livello nazionale; nel 42% come simile o difficilmente comparabile; e solo nell’8% dei casi come meno buona.
Pur con tutte le migliorie possibili (sottolineate dallo stesso studio dell’OCSE), possiamo dunque concludere che l’UE utilizza un budget molto più esiguo e gestito in modo relativamente migliore rispetto alle amministrazioni nazionali e locali. Lo fa in ogni caso applicando il cosiddetto principio di sussidiarietà, ovvero le sue competenze intervengono soltanto nel caso in cui la stessa funzione non possa essere svolta altrettanto efficacemente a un livello inferiore, più vicino al cittadino.
Costi e benefici dell’appartenenza all’Unione europea
La seconda domanda che abbiamo individuato è più ampia e punta ad analizzare costi e benefici dell’appartenenza all’Unione europea per un paese e per i suoi cittadini. Ancor più che per la domanda precedente, la questione è difficilmente risolvibile con un semplice calcolo aritmetico.
Iniziamo tuttavia a mostrare le stime di un calcolo aritmetico che viene spesso proposto nel discorso mediatico: quanto “danno” e quanto “ricevono” gli stati dall’Unione europea in termini di esborsi finanziari? Le stime (in miliardi di euro) indicano che nel 2017 Germania (+13), Regno Unito (+7,5), Francia (+4,5), Italia (+4) e Paesi Bassi (+3,5) erano, in termini di trasferimenti, i principali “contributori netti” dell’Unione europea; Polonia (-8), Grecia (-4), Romania (-3,5), Ungheria (-3) e Portogallo (-2,5) i principali “beneficiari netti”.
Qual è il valore di questa stima aritmetica? Rispondiamo con alcuni dati comparativi:
- Come abbiamo ricordato più sopra, il budget annuale dello Stato italiano ha un ordine di grandezza di mille miliardi di euro: i quattro miliardi di “avanzo” dell’Italia rispetto all’UE rappresentano lo 0,4% della spesa annuale italiana. È una quota meno alta rispetto a quella di molti altri paesi europei e per alcuni versi “strutturale”, essendo legata alle dimensioni economiche e al livello di reddito del nostro paese;
- Come spiegato in un apposito post, le scarse “capacità di assorbimento” dell’Italia generano regolarmente una “perdita” di decine di miliardi di euro, in termini di fondi UE disponibili e non spesi. Il problema principale non è dunque la quantità di trasferimenti comunitari ricevuti dall’Italia, ma il loro utilizzo efficace;
- Eventi specifici, come ad esempio il lancio di NGEU e del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, possono modificare radicalmente il quadro globale: in questo quadro, l’Italia beneficerà di circa 70 miliardi di euro in sovvenzioni e di circa 120 miliardi di euro in prestiti agevolati, il cui costo è interamente coperto da fonti comunitarie.
Il dato aritmetico ha dunque un peso molto relativo nell’economia generale delle finanze italiane e dei fondi europei nel loro complesso.
L’analisi assume un valore più significativo se si considerano i benefici derivanti dall’appartenenza all’Unione europea e dall’utilizzo dell’euro: aspetti che possono essere approfonditi nel Capitolo 1.2. della Guida e su apposite pubblicazioni della Commissione europea (sulle conquiste dell’UE; sui risultati dell’integrazione europea; sui vantaggi dell’euro). Ne citiamo alcuni, di natura prettamente economica:
- Accesso delle imprese a un mercato unico di quasi mezzo miliardo di persone, un’opportunità unica di sviluppo economico e di attrazione di investimenti;
- Appartenenza a uno dei più grandi blocchi commerciali del mondo, in grado di ottenere condizioni migliori negli scambi internazionali;
- Stabilità dei prezzi, bassa inflazione, miglior protezione dalle fluttuazioni internazionali, miglior accesso ai mercati finanziari grazie all’euro.
A questi aspetti puramente economici se ne possono naturalmente aggiungere molti altri altrettanto importanti, quali ad esempio la pace duratura tra paesi europei, misure comuni e all’avanguardia nel mondo per la tutela dei diritti dei cittadini, la libertà di muoversi, vivere, comunicare e lavorare in Europa, l’appartenenza a un sistema di valori che è un punto di riferimento nel mondo in termini sociali, ambientali, di aiuto allo sviluppo e di progresso umano e tecnologico.
Un punto di vista originale e complementare in questa analisi è rappresentato dal filone di studi sul “costo della non-Europa”: ovvero lo studio dei benefici economici e sociali persi da ciascuno degli Stati membri a causa della mancata costituzione di soluzioni uniche, coerenti e integrate a livello europeo in vari ambiti (economici, commerciali, infrastrutturali, sociali, ecc.).
Il primo di questi studi risale agli anni ’80 e fu affidato dal Presidente della Commissione Jacques Delors all’economista Paolo Cecchini.
Questa metodologia è stata ripreso nel 2014 dai servizi del Parlamento Europeo, per definire le successive priorità dell’azione e della programmazione europea. Il nuovo studio ha stimato che l’economia dell’UE potrebbe ottenere, nel tempo, miglioramenti pari a circa 800 miliardi di euro (il 6% del PIL comunitario) grazie a misure comuni, gestite a livello comunitario (elencate qui sotto per ambito d’intervento).
Mercato unico digitale | 260 |
Mercato unico per consumatori e cittadini | 235 |
Completamento dei mercati finanziari | 60 |
Accordo commerciale transatlantico | 60 |
Mercato dell’energia integrato | 50 |
Unione bancaria | 35 |
Coordinamento delle politiche fiscali | 31 |
Garanzia comune dei depositi | 30 |
Sicurezza e difesa comune | 26 |
Assicurazione-disoccupazione minima | 15 |
Parità di retribuzione per lo stesso lavoro | 13 |
IVA ed evasione fiscale | 7 |
Lotta contro la violenza di genere | 7 |
Spazio unico dei trasporti | 5 |
Consultazione dei lavoratori | 3 |
Altro | 2 |
Totale (miliardi di euro) | 839
|
Nel 2020 gli economisti della Banca Centrale Europea hanno ripreso ulteriormente lo studi di Cecchini, stimando che l’introduzione del Mercato Unico in Europa (quindi la sola misura più tipicamente “economica” dell’UE) abbia aumentato il PIL pro capite comunitario in una misura variabile tra il 12% e il 22% (ovvero di circa 2400 miliardi di euro, applicando le dovute proporzioni ai dati indicati sopra).
Altri aspetti ancora più specifici e aggiornati legati a questo filone di studi possono essere approfonditi in una apposita piattaforma curata dal servizio di ricerca del Parlamento europeo. Per scoprire, ad esempio, qual è il “costo della non-Europa” nell’ambito:
- delle tecnologie digitali,
- dei sistemi energetici,
- della lotta al Coronavirus,
- nel settore delle libertà, della sicurezza e della giustizia,
- nei settori della migrazione, delle politiche di asilo e della lotta al terrorismo.
Per quanto i temi di questa seconda analisi siano evidentemente più complessi, tutti i dati e le ricerche suggeriscono che i benefici dell’UE sono molto più grandi degli eventuali costi; e che anzi, il vero costo per i cittadini europei e per gli Stati membri è piuttosto costituito da quello della “non-Europa”.
Costo Unione Europea: in conclusione
Una domanda apparentemente semplice (Quanto costa l’Unione europea?) ha generato una risposta molto ampia e sfaccettata: come era doveroso che fosse perché, come abbiamo visto, si tratta di un tema complesso che in alcuni casi viene semplificato o presentato in modo incompleto, se non strumentale. Riassumiamo qui di seguito le principali conclusioni:
- L’amministrazione dell’UE ha caratteristiche peculiari rispetto ad altre amministrazioni nazionali o locali. Rispetto ad esse, utilizza un budget molto più esiguo (il 15% di quello dello Stato italiano, pur coprendo una popolazione 8 volte più grande) e ha spese amministrative proporzionalmente molto basse (usa il 93% del budget per interventi diretti). Inoltre, utilizza le sue risorse in modo relativamente migliore rispetto alle amministrazioni dei paesi europei;
- I trasferimenti in entrata e in uscita tra UE e stati membri non generano una situazione di perfetto equilibrio, ma la discrepanza (ad esempio, tra quanto l’Italia dà e quanto l’Italia riceve dall’UE) è poco consistente se si considerano tutti i fattori (differenze di reddito tra stati membri, scarse “capacità di assorbimento” che vanificano l’impatto dei fondi ricevuti, disponibilità di risorse eccezionali come NGEU);
- I benefici economici e sociali derivanti dall’appartenenza all’UE superano in ogni caso, e di gran lunga, i relativi costi diretti o indiretti. Il mercato unico (con le sue varie implicazioni) ha portato un beneficio quantificabile in circa 2400 miliardi di euro (18% del PIL comunitario). Ulteriori azioni comuni in vari ambiti settoriali potranno portare ulteriori benefici, quantificabili in altre centinaia di miliardi di euro (“costi della non-Europa”).
Ci auguriamo che questo articolo contribuisca a migliorare la comprensione comune riguardo all’utilizzo e all’impatto del bilancio comunitario sui cittadini europei: un tema generale, ma importante per chi lavora tutti i giorni con i fondi europei.