Scopriamo il percorso e le attività della Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani, un motore di aggregazione, progettazione e sviluppo nel suo territorio.

La Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani è una realtà che lavora per aggregare e valorizzare le energie di un grande territorio, bellissimo e non sempre facile, coinvolgendone gli attori su iniziative comuni. In sei anni di attività, la Fondazione ha sviluppato un interessante modello di animazione territoriale e di avvicinamento “virtuoso” ai progetti europei.

Già a partire dal suo atto costitutivo, la Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani ha saputo mettere insieme 10 attori tra loro molto diversi: Diocesi, Cooperative e Consorzi, Associazioni e Banche etiche, Centri di ricerca e altre Fondazioni. E oggi si rispecchia bene in quello che è stato detto sulle fondazioni di comunità in un’apposita guida realizzata da Assifero, che definiva le Fondazioni di Comunità come acceleratori di progettualità su cui far convergere risorse comunitarie pubbliche e private, stabilendo alleanze e favorendo co-progettazioni su problematiche complesse; e come piattaforme di partecipazione e catalizzazione di risorse per il benessere delle comunità.

Scopriamo insieme in cosa consiste il loro modello, gli ingredienti del suo successo e le sue prospettive di sviluppo.

Ne parliamo con Mariacristina Morsellino, Coordinatrice dei programmi di cooperazione euro-mediterranea della Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani. Mariacristina è parte di un team dinamico, composto in gran parte da giovani che hanno saputo riportare sul loro territorio di origine un bagaglio di esperienza acquisito in altre parti d’Italia e d’Europa: a suo agio sia nel dialogare con le piccole realtà del Trapanese e dell’Agrigentino, sia nel destreggiarsi tra fondi europei e partnership internazionali. Ci accoglie con un grande sorriso, una parlata veloce, e soprattutto tantissimo entusiasmo per la sua terra e per il suo lavoro.

Chi siete e in cosa consiste la vostra missione?

La nostra Fondazione nasce sei anni fa, nel 2019, dopo un percorso di animazione territoriale durato 5 anni. È un percorso che ne definisce l’identità: è una fondazione di comunità, ovvero un’organizzazione della società civile, laica e indipendente, che nasce dai bisogni degli attori di un territorio (quello delle province di Agrigento e Trapani) e ne promuove lo sviluppo sociale, economico, culturale e ambientale.

Il nostro territorio è vasto e frammentato. Ha alcune caratteristiche poco invidiabili, come ad esempio una bassa densità imprenditoriale e un alto tasso di povertà educativa, abbandono scolastico, disoccupazione ed emigrazione giovanile. Ma è anche al centro del Mediterraneo, è costituito da un grande numero di piccoli comuni ed è arricchito dalla passione e dall’impegno di tante persone, organizzazioni e imprese locali, nazionali e internazionali che vogliono contribuire al suo sviluppo.

Non siamo soli: fondazioni come la nostra sono fiorite anche in altri territori, come ad esempio nella Valle di Noto e a Messina, soltanto per restare in Sicilia. Territori diversi e fondazioni di comunità diverse, che hanno creato anch’esse un proprio modello ugualmente valido e interessante. Anche grazie alla Fondazione con il Sud, che ha dedicato a fondazioni come la nostra un apposito programma di sostegno.

Sei anni non sono tanti: come avete iniziato? E come vi siete avvicinati ai progetti europei?

La nostra Fondazione ha avviato la sua attività tra il 2019 e il 2020, in pieno “periodo Covid”.

Questo periodo ha in qualche modo segnato la nostra organizzazione. Infatti, quando abbiamo iniziato abbiamo potuto contare su molte persone siciliane che lavoravano altrove, ma che erano rientrate a causa delle restrizioni e della situazione di quel momento. Molte di queste persone hanno iniziato a collaborare con noi, e alcune sono rimaste nella nostra Fondazione. Hanno portato nuova linfa, nuove capacità e mentalità, pur mantenendo un approccio pragmatico e ben radicato nel contesto locale.

Inoltre, sempre a causa della situazione in quel momento, il nostro staff non si è concentrato in un solo ufficio, ma da subito ha iniziato a lavorare direttamente dal luogo in cui si trovava. Questo tipo di organizzazione è rimasta e ora il nostro staff è distribuito sul territorio e può servirlo meglio, restando ancorato al contesto locale e ottimizzando sugli spostamenti.

Fin dai nostri primi progetti, anche grazie al background delle persone che collaboravano con la nostra Fondazione, abbiamo avuto a cuore tanto la natura e i bisogni del nostro territorio, quanto i suoi legami con altri territori e con l’Europa. Ci siamo da subito organizzati in due aree principali, una dedicata ai programmi di cooperazione locale e una dedicata ai programmi di cooperazione euro-mediterranea. Due aree organizzative accomunate da uno stesso obiettivo, lo sviluppo del nostro territorio, e da uno stesso strumento, la collaborazione.

In un territorio come il nostro, con risorse umane e materiali limitate, la collaborazione è un ingrediente indispensabile. Organizzandoci in questo modo, ci siamo dati due obiettivi principali: arricchire e far crescere le risorse umane del nostro territorio, creando collaborazione a livello locale, per valorizzarne il potenziale e l’energia; e attirare risorse economiche e immateriali sviluppando buoni progetti. Progetti (soprattutto quelli europei) che richiedono a loro volta collaborazione a livello locale e internazionale.

Ottenere risorse attraverso i progetti europei non è facile. Come avete fatto?

La nostra Fondazione non lavora “inseguendo i bandi”, ma perseguendo i propri obiettivi e individuando i mezzi più opportuni per raggiungerli. I bandi europei sono uno di questi mezzi, insieme al fundraising (è così che abbiamo realizzato le nostre primissime attività durante l’emergenza Covid), ai bandi nazionali e ad altri tipi di intervento. È importante lavorare in modo flessibile e partecipativo, utilizzando una gamma sufficientemente ampia di approcci e strumenti. Non bisogna concentrarsi su un solo tipo di attività, su un solo tipo di risorse, su un solo modo di lavorare.

Abbiamo realizzato molti progetti europei di successo grazie a un grosso investimento di tempo e di strategia. Provare a fare un progetto all’anno non dà certezze, non è un approccio sostenibile. Occorre metodo e strategia: spesso si sbatte la testa contro i progetti europei e si rimane delusi perché si parte da un solo bando, con scarsa attenzione e con scarsa esperienza, senza prendersi i tempi necessari. E può sembrare una perdita di tempo. Noi abbiamo investito tutto il primo anno in attività di screening, di sviluppo di contatti e di sondaggio di possibilità e opportunità: e questo investimento ha premiato.

Inoltre, avevamo al nostro interno persone che avevano già lavorato sui progetti europei: questo è anche un approccio che consigliamo. È molto meglio avere al proprio interno persone che sanno lavorare con i progetti europei. I consulenti esterni sono utili per supportare e gestire il carico di lavoro, ma una figura al proprio interno fornisce una visione complessiva, che è molto importante per realizzare un buon progetto.

Il nostro primo progetto è stato The Sound of Entrepreneurship, dedicato alla formazione dei musicisti in ambito digitale, un progetto Erasmus KA2 realizzato come partner. Il secondo è stato Youth Social Changemakers, incentrato sull’empowerment degli adolescenti e il contrasto alla povertà educativa, uno small scale di Erasmus+, realizzato come leader. Poi la nostra crescita sui progetti europei è stata regolare: abbiamo iniziato a lavorare sul programma COSME / Mercato unico (progetto BREED sull’economia sociale), sul CERV, e da lì abbiamo continuato, facendo la scelta di differenziare i programmi sulla base dei nostri obiettivi e delle necessità del nostro territorio, che sono molto variegate.

Questi progetti sono quasi sempre, allo stesso tempo, dei punti di partenza, di arrivo e di passaggio. La collaborazione attiva nuove prospettive, nuovi modi per realizzare cose insieme, per mettere le risorse a fattor comune e creare processi più efficienti. Faccio un esempio. Su uno dei nostri progetti abbiamo dovuto rimodulare le nostre attività, rendendole itineranti sul territorio. Da questo piccolo “contrattempo” sul progetto è nata la conoscenza di uno spazio che poteva ospitare laboratori di stampa 3d per i ragazzi, da cui sono poi nate nuove attività. Il progetto europeo diventa così un modo per valorizzare in modo molto semplice le risorse locali. Crea nuovi presupposti di collaborazione, anche a livello locale.

Le vostre attività e i vostri progetti sono molto vari. Di quali ambiti tematici vi occupate?

La nostra attività è organizzata in tre pilastri principali, tutti funzionali alla crescita del nostro territorio.

Innanzitutto, lavoriamo nell’ambito del welfare educativo e dell’inclusione, concentrandoci soprattutto sulle fasce fragili, sui ragazzi e sul contrasto a fenomeni purtroppo diffusi sul nostro territorio, come la povertà educativa, l’abbandono scolastico, la disoccupazione e l’emigrazione giovanile. I nostri progetti cercano di invertire questo trend lavorando sull’empowerment dei giovani, sulle skill tecniche (digitale, sostenibilità), sull’innovazione sociale e sull’imprenditorialità.

Operiamo poi nel sostegno all’economia sociale, per affrontare un altro dei grandi problemi del nostro territorio, la bassa densità imprenditoriale. Ci concentriamo esclusivamente sulle imprese a impatto sociale e sulle imprese socialmente responsabili, fornendo vari tipi di supporto: piccoli finanziamenti diretti, attività di coaching e training, sostegno ad attività di crowdfunding. Alcune delle risorse e delle attività sono possibili grazie alla partecipazione ai programmi europei, come il Programma per il Mercato Unico, che prevede tra le categorie di budget il finanziamento a cascata di terze parti.

Il terzo ambito in cui lavoriamo è quello della protezione e della valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale, molto importante per la Sicilia. Ad esempio, il progetto Fa Bene Sicilia ha permesso la nascita di una cooperativa sociale che sostiene produttori locali sostenibili attraverso l’attivazione di strumenti di e-commerce in grado di dare accesso a nuove nicchie di mercato. E anche in questo caso lavoriamo con i progetti europei, ad esempio attraverso iniziative di scambio e formazione Erasmus nell’ambito della sostenibilità (es. progetto Cities Go Climate Neutral per dipendenti comunali).

Ci potete raccontare qualcuno dei vostri progetti?

Abbiamo una pagina dedicata a tutti i nostri progetti, dove potete trovare quelli che abbiamo citato. Ma ve ne racconto alcuni cui tengo particolarmente.

Iniziamo dal nostro primo pilastro di attività, il welfare educativo. Abbiamo già citato il progetto Youth Social Changemakers: ci teniamo particolarmente perché è il primo che abbiamo vinto, ed è anche affine come spirito a quello della vostra Guida, perché insegna ai ragazzi come fare progettazione per lo sviluppo della comunità. Applica l’approccio del challenge-based learning, che prevede una breve formazione iniziale, poi una sfida lanciata al team di ragazzi per applicare le loro conoscenze in modo creativo e personale. I team di ragazzi hanno identificato le aree su cui concentrarsi. Poi hanno sviluppato sia un bando, sia una risposta al bando: in questo modo hanno considerato sia il punto di vista di chi scrive un bando, sia il punto di vista di chi scrive un progetto, entrambi molto importanti. Le proposte sono poi state valutate dai ragazzi stessi sulla base di criteri classici (anche in questo caso, per mettersi nell’ottica di chi valuta un progetto) e sono stati dati dei micro-grant per provare a realizzare le iniziative selezionate: piccoli progetti per promuovere la sostenibilità, i servizi per gli studenti, la creazione di coworking e di community virtuali.

Un altro progetto interessante in questo ambito è EMPATISE, un progetto Erasmus+ KA2 School Education che abbiamo realizzato come capofila. Ha come obiettivo la lotta alla povertà educativa attraverso attività di empowerment e di scambio di educatori e insegnanti. Si rivolge a (e intende sviluppare) “comunità educanti” che abbraccino tutti coloro che lavorano con gli adolescenti (in particolare appartenenti alle categorie più fragili) nell’ambito delle attività scolastiche ed extrascolastiche, sport e tempo libero, migliorandone la collaborazione e le capacità di rispondere ai bisogni educativi e di crescita dei giovani.

Sul secondo pilastro, l’economia sociale, abbiamo diversi progetti portati avanti attraverso il supporto diretto o i progetti europei: uno dei primi è stato Beehive Valore Sud, reso possibile dal rientro di tre ragazzi durante il periodo del Covid. I ragazzi lavoravano altrove per grandi multinazionali e hanno voluto sfruttare l’opportunità del rientro e dello smart working per ripopolare il territorio. Hanno creato uno spazio di coworking, in cui grazie a un nostro piccolo contributo hanno creato una rete e attivato attività di consulenza e coaching. Beehive è oggi un’impresa sociale, un incubatore di comunità e un’attiva promotrice del concetto di “Southworking”: un’opportunità per riportare i giovani nel Sud Italia.

Un altro progetto dei nostri primi progetti europei come capofila è BREED, acronimo di Building community REsiliencE and sustainable Developement through social economy (finanziato da COSME). L’abbiamo concluso da pochi mesi: è un progetto di partnership con diversi comuni ed enti pubblici di aree metropolitane europee, supportati da uno dei network europei dedicati al tema, ENSIE. Ha come obiettivo il supporto all’economia sociale attraverso la promozione della collaborazione tra pubblico e privato. Ha organizzato missioni di apprendimento in altri paesi per piccoli team, composti da un funzionario comunale e 3 attori del territorio attivi nel settore dell’economia sociale. A partire da queste esperienze ogni comune ha lanciato una serie di workshop partecipativi per attori pubblici e privati, ha lanciato un bando per la selezione di 20 attori locali legati all’economia sociale e elaborato un action plan per la promozione dell’economia sociale nel proprio territorio. Un’iniziativa “apripista” a livello siciliano, se non italiano, che può ispirare altri territori su questa strada. In questo progetto ci siamo scontrati con difficoltà linguistiche e normative: “economia sociale” voleva dire cose diverse a seconda del contesto. Ma da queste difficoltà è nata anche l’opportunità di integrare nuovi punti di vista in un concetto che è di per sé molto ampio, e creare scambi più profondi.

Sul terzo pilastro, la valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale, abbiamo vari progetti che si incrociano anche con i precedenti. Ad esempio il progetto Ecotours, sostenuto dal Programma per il Mercato Unico, prevede sia attività di scambio e di rafforzamento delle competenze, sia l’erogazione di un finanziamento a terze parti, dei mini-grant con cui le imprese beneficiarie possono realizzare attività più mirate (ad esempio, acquisire una certificazione in campo ambientale utile alla loro attività); e ancora, la promozione di attività di crowdfunding e il lancio di progetti comuni, in particolare di itinerari integrati di turismo circolare, in grado di mobilitare tutti gli attori di un territorio.

Un’altra esperienza di successo in questa area, che mostra al tempo stesso un’altra modalità di intervento della Fondazione sul territorio, è il progetto Infopoint diffuso, nato grazie a un piccolo ma efficace intervento di capacity building al Museo Diffuso dei 5 Sensi di Sciacca nell’ambito del progetto Ripartenze Inclusive. Attraverso una piattaforma di crowdfunding, sei realtà locali hanno avuto sei mesi di tempo e un supporto mirato per raccogliere almeno il 40% delle risorse necessarie ai loro progetti. Le organizzazioni in grado di raccogliere almeno il 40% delle risorse necessarie al loro progetto hanno ricevuto le risorse addizionali attraverso un contributo della nostra Fondazione, che le ha aiutate a trasformare le idee in realtà.

Questo è un esempio di come anche piccoli interventi possano contribuire a rafforzare le capacità, l’iniziativa e la voglia di fare rete delle organizzazioni di un territorio. E di come sia importante agire con diversi strumenti, di cui i progetti europei costituiscono un pezzo di approccio più globale.

E poi ci sarebbero tantissimi altri progetti, potrei parlarne per ore!

Una grande ricchezza di idee, ma anche di strategie e di strumenti con cui le realizzate. Quali sono i vostri progetti per il futuro e cosa consigliate ai nostri lettori?

Uno dei nostri grandi obiettivi per il prossimo futuro è quello di diventare sempre più efficaci nello sviluppare le reti locali: allargando il numero di organizzazioni locali con cui lavoriamo – e facendole crescere.

Ed ecco uno spunto per i vostri lettori. L’importante non è vincere il bando, ma implementare il progetto. Noi siamo in grado di scrivere buoni progetti, ma da soli non possiamo fare molto. Allargare la nostra rete è indispensabile perché il nostro lavoro funzioni. Allargando la nostra rete abbiamo formato una rete di soggetti capaci e di fiducia che ci permette di implementare i progetti. È un aspetto che ci permette di lanciarci serenamente su nuove attività, sapendo che le risorse verranno distribuite sul nostro territorio, contribuendo alla sua crescita, e che anche il lavoro da fare verrà distribuito. In questo modo le capacità nostre e delle nostre organizzazioni continuano a crescere. Tutti continuiamo a crescere.

Questo approccio è fondamentale per la realtà siciliana. Le risorse sono limitate e nonostante questo non c’è sempre un’ottica di collaborazione. La nostra attività aiuta a cambiare la mentalità degli operatori del territorio, facendoli uscire da dinamiche di rivalità e di competizione. Insegna che condividere non è togliere, ma permette a tutti di avere di più. Anche a noi: la nostra Fondazione può fare tantissimo anche e soprattutto grazie a loro. Allargare la rete per noi non è semplicemente “spirito partecipativo”, ma una vera a propria lezione appresa.

Per fare questo, la giusta attitudine è quella dell’ascolto attivo e proattivo. Occorre parlarsi, ascoltare e capirsi ogni volta che c’è una difficoltà o un attrito da risolvere. E farlo anche, più semplicemente, ogni volta che c’è qualcosa da fare. La nostra esperienza ci insegna che c’è sempre chi sa fare le cose meglio di noi: se si vuole lavorare di più e meglio bisogna cercarlo e trovarlo.

Poi certo, ci sono le difficoltà, e queste si vedono bene quando si lavora nei progetti europei.

Nelle piccole organizzazioni, vediamo soprattutto difficoltà derivanti dalla mancanza di staff preparato e dedicato. Ma i progetti stessi sono strumenti di apprendimento, in cui è naturale provare e riprovare. Già soltanto il tentativo è qualcosa che porta insegnamenti e valore aggiunto. Anche quando un progetto non passa, una scheda ne spiega i motivi e permette di fare meglio la volta successiva.

Abbiamo un piccolo vademecum per lavorare sui progetti europei, utile ai nostri partner e a noi stessi. Che ha questi punti principali:

Raccogliendo questi consigli, e con la sensazione che ci sarebbe ancora tantissimo da dire, salutiamo Mariacristina e la ringraziamo per la sua testimonianza.

L’attività delle Fondazioni di Comunità, in Sicilia e in altre parti d’Italia, porta ottimi spunti sia a chi intende avvicinarsi ai progetti europei, sia a chi, come la nostra Guida, vuole creare un ambiente favorevole al loro sviluppo. Cercheremo di dare ulteriore visibilità ad altre iniziative di questo tipo.